Otto Becker, da protagonista a mentore. Il percorso del tedesco, da cavaliere, a chef d’equipe.

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Otto Becker regge il trofeo dei Spruce Meadows Masters

“Siamo un team, ognuno è indispensabile, non voglio leader, ma compagni di squadra pronti ad aiutarsi e a collaborare tra loro“.

— Otto Becker

In occasione della finale della Longines League of Nations di Barcellona, abbiamo intercettato il grande Otto Becker, attuale chef d’equipe della nazionale tedesca. L’ex cavaliere tedesco si è confidato con il team di Horseshowjumping.tv, riguardo il suo passato e quello che riguarda il suo presente da formatore dei nuovi talenti che entrano a far parte della squadra tedesca. (Leggi “La Germania si aggiudica la prima edizione della Longines League of Nations“)

Mr. Otto Becker, ad oggi la conosciamo tutti come Chef d’Equipe della nazionale tedesca, ma lei è stato sicuramente uno dei top rider del circuito internazionale, e la svolta è arrivata anche grazie alla sua cavalla Pamina, ci può raccontare com’è iniziata la sua carriera nel mondo dell’equitazione?

“L’inizio della mia carriera agonistica può essere ricollocato al momento in cui sono arrivato nelle scuderie di Dave e Paul Shoeckmohle nel 1989. Quello è stato un anno di transizione in cui ho imparato molto, ma l’anno della svolta è stato senza dubbio il 1990, dove ho trovato una cavalla eccezionale; Pamina, che mi ha portato all’argento a squadre ed al quinto posto nella classifica individuale, posso considerare quello, l’anno della consacrazione. Ad essere sincero, sono stato leggermente svantaggiato dal “Cambio Cavallo”, ma essendo il mio primo vero campionato, nella bellissima cornice di Stoccolma, non posso che valorizzare quella prestazione e metterla come punto di partenza per una carriera piena di soddisfazioni.

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Team Germania a Calgary 2024: André Thieme in sella a Paule S, Joerne Sprehe su Toys, Daniel Deusser con Gangster V/H Noddevelt e Jana Wargers insieme a Dorette Old, sotto la guida esperta del capo equipe Otto Becker (c) Mackenzie Clark

Ha menzionato quella che per lei è stata una famiglia “faro” nel percorso della sua carriera, gli Schoeckemohle. Una famiglia da cui ha imparato molto e che le ha lasciato anche più del semplice aspetto professionale…

“Sicuramente è stato un periodo fondamentale per la mia carriera. Quando sono arrivato nelle scuderie degli Schoeckmohle, ero solo un semplice cavaliere proveniente dal Sud della Germania, con loro ho fatto veramente il salto di qualità di cui avevo bisogno. Paul è stato sicuramente un esempio per me, aveva delle qualità assolute a cavallo ed ho cercato di apprendere il più possibile da lui.”

Facendo un focus sulla sua carriera, lei ha interpretato moltissimi protagonisti dell’equitazione mondiale, partendo dalla già citata Pamina. Il cavallo che però, probabilmente, è stato più significativo, è senza dubbio Dobel’s Cento, con cui ha arricchito il suo palmares di una medaglia d’oro ed una di bronzo alle olimpiadi.

“Cento è stato sicuramente il cavallo della mia vita, con lui sono riuscito a coronare tutto quello a cui aspiravo quando ho cominciato con l’equitazione. Oltre alle medaglie olimpiche, ho avuto la fortuna di montarlo per ben undici anni, riuscendo a vincere moltissimi Grand Prix, come Spruce Meadows a Calgary. Dobel’s Cento era un cavallo eccezionale, freddo, intelligente – ha proseguito Otto Becker ogni volta che andavamo in gara sapeva già cosa fare, senza mai andare in escandescenza. Non nego che ci è voluto del tempo per riuscire a portarlo al livello che speravamo, ma con lavoro e pazienza abbiamo raccolto veramente il massimo che poteva esprimere questo fantastico cavallo.

A proposito di pazienza, quest’ultima un elemento fondamentale nella gestione e nella preparazione dei cavalli. Ora che l’allevamento sta cambiando e le linee di sangue rendono i cavalli sempre più sensibili, crede che questa sia la chiave per raggiungere il massimo risultato? E se sì, qual è il metodo migliore per raggiungere i massimi livelli?

“Sono abbastanza convinto che ogni cavallo abbia un percorso a sé. L’equitazione da Stoccolma 1990 è cambiata radicalmente, basti pensare che in passato i cavalli erano soliti affrontare ostacoli composti da muri, fiori e barriere molto impegnative. Ovviamente anche l’allevamento è cambiato molto, i cavalli di oggi sono più leggeri, hanno bisogno di uno stile di monta differente e da una parte per me è stato un aiuto, proprio perché i cavalli di oggi vanno verso quello che è il mio stile di monta. La mia fortuna è stata quella di riuscire a montare tutti cavalli con cui avevo un buonissimo feeling, per cui è stato facile costruire un rapporto di fiducia e creare poi un ottimo binomio. Come rimarcava lei, la pazienza è un elemento fondamentale, mi sono preso il tempo giusto per costruire un legame, passo dopo passo, passando dai campi casalinghi, fino ai grandi palcoscenici. Ho tenuto fede alle lezioni che ho imparato da mio padre ed ho sempre cercato di lavorare in questa maniera, step by step.”

La sua è stata una carriera in continua crescita, partendo dal ruolo di cavaliere fino ad arrivare a quello di allenatore della squadra tedesca. Come adatta la sua esperienza alle esigenze delle nuove generazioni? Quale metodo di allenamento applica con la squadra e con ogni cavaliere tedesco?

“Sicuramente, lavorare per la nazionale tedesca mi agevola incredibilmente – confessa Becker -. Sono sempre pronto a dare un consiglio ai miei allievi, ma essendo tutti degli ottimi professionisti sanno esattamente cosa fare. Quello che cerco di portare all’interno della squadra è la mia esperienza. Essendo stato cavaliere, cerco di mettermi nei loro panni, capire cosa pensano, immaginare come possono sentirsi e dopo aver analizzato la situazione nella sua completezza, cerco di fare proposte, di comunicare con loro e risolvere i problemi che si presentano. Quando siamo in gara, ma anche in casa, cerco di parlare con l’istruttore che li segue per far si che riescano ad inserire all’interno del contesto di squadra, il messaggio che voglio far passare, è che siamo un team, ognuno è indispensabile, non voglio leader, ma compagni di squadra pronti ad aiutarsi e collaborare tra loro. La tranquillità è l’elemento essenziale.”

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(c) Mackenzie Clark

Il team tedesco è sicuramente uno di quei team da prendere come esempio, si percepisce già solo guardandovi il rispetto che avete l’uno per l’altro, siete da ammirare. Detto ciò, in 16 anni di chef d’equipe, ci saranno stati degli alti e bassi com’è consuetudine nel corso di lunghe carriere sportive ai massimi livelli. Quali sono le difficoltà che ha incontrato lungo il percorso?

“Sicuramente riuscire a vestire i panni di chef d’equipe è senza dubbio un onore, ma è ovvio che ricoprire un ruolo così importante porta con sé grandi responsabilità, ma anche difficoltà. Ho assunto questo ruolo proprio a ridosso del caso di doping che ci ha fatto perdere la medaglia ad Hong Kong, quindi il clima era veramente teso, nell’aria si respirava insicurezza e il timore che potesse succedere ancora una cosa del genere era comunque presente. Ci vollero sei mesi per far tornare la serenità in squadra, ma lavorando insieme ed uniti, fortunatamente siamo riusciti a tornare al livello e sui palcoscenici che ci spettavano. Il punto di svolta credo sia stato il Kentucky World Championship, abbiamo vinto in maniera netta, da vera squadra, da lì in poi abbiamo ricominciato a lavorare serenamente e concentrarci sui nostri obiettivi, ma ammetto che non è stato semplice.”

È sempre difficile riuscire a relazionarsi con i media in situazioni come quella di Hong Kong, e soprattutto è difficile gestire un team in quelle occasioni. Come è riuscito a fare entrambe le cose?

“Fortunatamente sono riuscito a fare molte esperienze durante l’arco della mia carriera e mi sono trovato spesso ad affrontare anche situazioni difficili. Solitamente cerco di preparami le domande che possono essere rivolte ai cavalieri, in modo da non farli trovare impreparati e soprattutto, credo che essere sé stessi sia la chiave di tutto. Quello che voglio comunicare è l’onesta ed il fatto che sono sempre a favore dello sport e questo influenza anche il mio team che cerca di fare lo stesso. Dopo la vittoria di Tryon, abbiamo iniziato un buon lavoro e cerchiamo di essere sempre a stretto contato con la Federazione, includendo anche le nuove generazione e questo mi fa particolarmente piacere.”

Per Otto Becker i giovani sono linfa vitale per la crescita di tutto il movimento equestre tedesco e riuscire a costruire un percorso che li porti gradualmente ad alti livelli è essenziale.

“Come mi piacerebbe ribadire, in Germania c’è sempre tanta passione, abbiamo molti clinics e gare dove possiamo osservarli, ma anche testarli e capire, con il tempo, chi riuscirà ad arrivare ai campionati nazionali, europei e via dicendo. Da 10 anni a questa parte abbiamo creato un percorso sportivo che parte dagli “Young riders” fino ad arrivare ai “Seniores”, realizzando dei clinics che li porteranno a qualificarsi per le finali di Aachen, uno degli obiettivi più ambiziosi per i giovani cavalieri. Questi ragazzi gareggiano assistiti dai loro istruttori, ma potendo gareggiare in contesti di élite, apprendono moltissimo anche dai cavalieri più esperti. È proprio questo che cerchiamo di creare in Germania, un movimento che, attraverso i giusti passi, riesca a innalzare sempre di più il livello”

Ora mi piacerebbe spostare l’attenzione sulla sua carriera. Qual è stato, secondo lei, il traguardo più importante o il momento più emozionante?

“Fortunatamente ci sono stati molti momenti emozionanti durante la mia carriera. Se parliamo del periodo in cui facevo il cavaliere, senza subbio l’oro di Sydney con Cento è stato qualcosa che è difficile spiegare a parole. Non posso che menzionare Pamina ai campionati di Stoccolma o il giro d’onore sempre con Dobel’s Cento nella Coppa delle Nazioni ad Aachen, con 14.000 spettatori ad applaudirci. Per quanto riguarda il mio percorso da Chef d’equipe, ti direi il 2009 e 2010, quando siamo riusciti a vincere a Tryon, quella è stata una pietra miliare nella mia carriera. Ovviamente anche quest’anno è stato molto speciale per me, con la medaglia d’oro di Christian Kukuk e Checker. Checker è un cavallo su cui ho investito quando aveva 4 anni, ne ho comprato la metà e l’ho tenuto nelle mie scuderie per 5 anni, lavorando con Ludger Beerbaum e cercando in tutti modi di far rimanere il cavallo in Germania. Quei 5 anni sono stati veramente speciali e vanno di diritto tra i momenti più emozionanti del mio percorso”.

Quando si ascoltano le parole di Otto Becker, quello che traspare maggiormente è quanto lui sia appassionato di questo sport. La vittoria sembra essere il fine ultimo del cammino che crea con cavalli e cavalieri e l’obiettivo principale è molto chiaro…

“Quello che per me conta di più è il fair play nello sport, il successo è importante, senza dubbio, ma la cosa a cui tengo di più è quella di riuscire a creare un team unito, instaurare connessioni tra i differenti protagonisti di questo sport che amo. Nel momento in cui c’è rispetto e comunicazione, i risultati arrivano di conseguenza, ecco perché lavoro a stretto contatto con la Federazione e cerco di lavorare armoniosamente sia con cavalli che cavalieri. Io amo lavorare in questo mondo e amo farlo al top; quindi, non vedo l’ora di arrivare alle prossime gare ad Aachen e alle prossime Olimpiadi, sicuramente ci faremo trovare pronti.”

In bocca al lupo Mr. Becker, ad altri grandi successi!

Scritto da Damiano Poggi, realizzato in collaborazione con Valentina Sozzi Senn

© Riproduzione riservata.

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